La compagnia perduta.

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Beh, dopo le massime dei filosofi ci vuole un po' di relax. Ho ritrovato in un cassetto questo raccontino che avevo scritto, in stile fantozziano, ai tempi del servizio militare, per far divertire la mia sbarbina di quel tempo.Mi ha fatto sorridere e così lo trascrivo, anche se i riferimenti sono un po' datati (avevamo Spadolini al ministero della difesa…) sperando che faccia sorridere anche voi.Ho cambiato ovviamente il nome del battaglione e del comandante di compagnia che ricordava nel cognome un pesce assai più nobile e simpatico del tonno…

La compagnia perduta.

(Ovvero "il romanzo che avrebbe fatto piangere Remarque".
Premio Austerlitz per la letteratura bellica.
All right reserved. All right?).
Era una mattina chiara e luminosa, di quelle che vengono solo dopo una notte buia e tempestosa; la mattina di uno di quei giorni in cui pare che debbano decidersi le sorti dell'umanità ( ma poi, come al solito, non succede niente, e forse facevamo meglio a rimanere a dormire…).
Era il 22 agosto dell'anno di disgrazia 1984 e la tromba chiacchierina non aveva ancora profferito il garrulo suono della sveglia per i vuoti cortili della caserma ancora addormentati ( avevano tirato le quattro in un'orgia tuttosesso con certe viuzze malfamate…).
Ma la gloriosa 1a compagnia del 15° Battaglione Fanteria "Verona" era già sveglia da tempo e si preparava, in un cozzare infernale di fucili ed elmetti, a recarsi al poligono per la prima esercitazione di tiro delle reclute. Tra muggiti e bestemmie, crisi di nervi e svenimenti, le "spinacce" (n.d.a.: le reclute, contrapposte ai "nonni" e ai "borghesi") vennero stivate sui camion: i famigerati CM, sempre percorsi da raffiche di pioggia e vento, anche quando sono fermi e il tempo è buono, con quelle deliziose panche, composte da assi intervallate, che trasformano natiche anonime in raffinati culi-a-strisce.

Poi cominciò l'attesa…
Dopo quasi due ore, quando già il serpeggiante malumore stava per sfociare in aperta rivolta, apparve lui: mimetica da combattimento, occhiali da aviatore, speroni d'argento ed una scia travolgente di colonia "Superbrut" ( contenente genuine secrezioni sudorifere di Adriano Panatta ).
Il capitano Giancarlo Riomare proveniva da una famiglia di antiche tradizioni militari. Il nonno materno era stato il famoso asso dell'aviazione francese Vitel Tonnè. Abbattuto diciotto volte nei cieli di Francia, dal famigerato Barone Rosso, sempre tornò audacemente a volare, per regolare, diceva lui, "quel conto in sospeso".
Ma, al diciannovesimo abbattimento, non si aprì il paracadute e guadagnò una medaglia d'oro alla memoria…Nel punto in cui precipitò venne aperta una trattoria che, in suo onore, è ancor oggi denominata "Al vitello d'oro".
Il padre, invece, Marchese Alco Riomare ( che sposò in seconde nozze una Insuperabile, la contessina Alice, madre del nostro eroe ), si distinse particolarmente nella campagna d'Africa. Era il tenente più veloce di tutto il corpo di spedizione, tanto che neppure i formidabili corridori etiopi riuscivano a stargli dietro.
Ma l'ennesima "ritirata strategica" gli fu fatale. Inseguito da una decina di etiopi molto incazzati, cadde e si ruppe una gamba. Perì pronunciando con amarezza la famosa frase: "Mi spezzo con un grissino!". Fu lessato e inscatolato, per essere consumato come leccornia esotica, al matrimonio della figlia di un capotribù…

Ordunque, l'arrivo del nostro prode capitano aveva sbloccato la situazione e finalmente, sotto il suo illuminato comando, si potè partire. Il sole d'agosto si era già arrampicato da dietro le colline e, lanciatosi improvvisamente nel cielo terso, prese a saettare i suoi caldi raggi su tutti gli uomini di buona volontà, e non solo su quelli, per fortuna…
Di conseguenza le strade brulicavano di avvenenti fanciulle, con certi articoli inquietanti in bella mostra. Non appena la colonna militare ne incrociava una, il bus e i due CM si inclinavano paurosamente da quella parte e sessanta lingue camaleontiche scivolavano giù dal cassone, attraversavano in un lampo la carreggiata e si avvolgevano come i serpenti di Laocoonte sulla poveretta.
Verso le undici, comparve all'orizzonte una bruna da infarto, con addosso solo una maglietta semitrasparente e un paio di idee molto simili a quelle di Pamela Anderson.
Il pulmann capottò in rettilineo. I due CM invece cominciarono ad andare su due ruote, mentre un groviglio di lingue serpeggiò fino al marciapiede opposto e si pose pazientemente in agguato…
Ma, proprio in quell'istante transitò sull'opposta corsia una splendida Ferrari Testarossa, a 250 chilometri orari…Nessuno parlò più per tutto il viaggio. Molti si diedero all'assai meno pericolosa lettura dei soliti "pornazzi". Qualcuno si consolò pensando che ora avrebbe potuto leccare dieci francobolli per volta.
A mezzogiorno si raggiunse finalmente la zona del poligono. Sempre in silenzio, per le ben note difficoltà tecniche, le reclute discesero dagli automezzi, ma i loro sorrisi beati e l'esultanza delle loro natiche, rigorosamente striate, gridavano al mondo la gioia d'essere arrivati.
Li aspettavano ancora quattro chilometri di salita, da percorrere a piedi, lungo una spaventosa mulattiera, con certi fossi incredibili, che parevano il Grand Canyon. Quattro reclute vi precipitarono dentro e non furono più ritrovate. Altre sei si afflosciarono a terra, stremate dalla fatica: furono finite con un colpo di pistola alla nuca. Un altro ancora, che si era fermato per una necessità fisiologica, venne afferrato da una pianta carnivora alta sei metri e inghiottito con un rutto tremendo.
Quel rumore risuonò come il ruggito di una belva sulle pareti del pendìo e mise le ali ai piedi dei superstiti, che riuscirono ad arrivare in cima in 1'40" e 22 ( nuovo record degli 800 metri in salita).
Davanti a loro si stendeva un'ampia radura , con due terrapieni in cemento alla distanza di 100 metri, e sullo sfondo delle collinette di terra.
La zona era già presidiata dal caporale Biagio Volponi, con i suoi zappatori, che, alzatosi alle tre di mattina, aveva già provveduto a sistemare le sagome-bersaglio e a dislocare le vedette, fornite di radio, tutt'intorno al poligono, nonché a far montare la tenda per il capitano.
Il capitano Riomare si guardò attorno compiaciuto, battè una gratificante pacca sulla spalla al caporale ed entrò deciso nella tenda. Non ne sarebbe più uscito. Tutti i paletti cedettero di scatto, come la molla di una trappola per topi, e l'inconsulto dibattersi del capitano fece il resto. Dopo alcuni vani tentativi (neppure troppo convinti ) di liberarlo, si decise di seppellirlo così impacchettato come si trovava.
Fu una cerimonia semplice ma commovente. Tutti, reclute e caporali, si abbracciavano e piangevano di gioia. Il ministro Spadolini, subito informato, inviò una corona di lische di pesce…

(Fine prima puntata – continua )