Braccia all’aria

 

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E’ tornata l’estate e secondo tradizione, come da tuberi germoglianti, sono rispuntate le braccia dai finestrini delle automobili. Forse perché fa caldo, forse perché fa figo, l’esposizione del braccio peloso e abbronzato è divenuta ormai una consuetudine del periodo estivo. C’è chi lo tiene alzato con il palmo proteso in avanti, nell’illusoria speranza di ricavarne un sollievo all’afa opprimente e nella concreta certezza di aumentare le probabilità che qualche frettoloso camionista se lo porti via. E c’è chi invece lo tiene penzoloni lungo la portiera, con gorillesca indifferenza, e pare sul punto di sculacciare il culo d’un cavallo per spronarne l’andatura.

Niente da ridire, per carità, se non che forse l’atteggiamento desta piuttosto compassione, in un’epoca in cui perfino gli skate-board sono ormai dotati di aria condizionata.

Il vero problema è l’andatura del veicolo che solitamente risulta adeguata all’atteggiamento rilassato di questi accaldati signori (ed escludo le signore, perché pare che quello appena descritto sia proprio un vezzo tipicamente maschile) e non supera i 20/30 all’ora anche in assenza di traffico. Così, in attesa di un rettilineo sgombro che ci consenta di superare, rivolgiamo un pensiero affettuoso ai cari mortacci del quasi-cadavere che ci precede, nella remota speranza che prima o poi qualche divisa un po’ zelante si decida a regalargli, al pari di quanti usano il cellulare, una multa per guida pericolosa. In fondo il codice della strada richiede di tenere ambo le mani ben salde sul volante.

Negli occhi di una zingara

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Tutti quanti conoscevano la sua totale mancanza di superstizione. E sapevano che non poteva soffrire le stupide fole con cui sedicenti maghi e cartomanti farciscono la testa dei poveri creduloni, con l’unico risultato di separarli pacificamente dai loro quattrini.

Eppure quella volta in compagnia, per non voler sembrare asociale, decise di prenderlo come un gioco e si assoggettò di buon grado a porgere la mano ad una zingara incartapecorita. Sorrideva beffardo mentre la vecchia scrutava le linee del suo palmo; e non smise nemmeno quando costei, con fare grave iniziò a proferire fosche profezìe di morte imminente, addirittura entro l’anno, e tutti intorno tacevano impressionati.

“Guardati dal numero del diavolo, guardati dai delfini…” – disse la vecchia e lui, irritato più dal fatto che si stava guastando l’allegria della serata che dall’infausta predizione, le allungò venti euro e le ingiunse di sparire.

Eppure, per quanto si rifiutasse di ammetterlo perfino con sé stesso, quell’insolito evento gli aveva lasciato un’inquietudine strana che, anziché scemare, andò vieppiù crescendo nei giorni che seguirono. L’ansia si aggravò quando un’amica della compagnia, cui la zingara aveva predetto il felice compimento della ricerca di lavoro, ebbe la lieta notizia che aveva vinto il concorso per un impiego in Comune. Era sicuramente una coincidenza – si disse – con tutte le baggianate che raccontano queste ciarlatane è quasi inevitabile che qualcuna si debba avverare. Eppure quelle parole continuavano a rimbalzargli nella mente.

Sebbene avesse raggiunto i cinquant’anni in ottima salute, non poteva fare a meno di pensare ai molti amici e conoscenti, anche più giovani di lui, che qualche male improvviso aveva strappato via. Ed il suo corpo tutto d’un tratto sembrava confermare quei timori mandandogli piccoli segnali di malesseri che mai aveva provato prima. Quei dolori al fegato, che si acutizzavano quando assumeva quella certa posizione; quelle fitte pulsanti nella zona occipitale, simili a scariche elettriche; quel neo sulla schiena che sembrava ingrandirsi e mutare di colore; e soprattutto quell’astenìa che spesso lo opprimeva fin dal mattino, figurandogli anche il minimo impegno della giornata come un’altissima cima da scalare.

E poi c’erano quegli ridicoli riferimenti. Il triplo sei, che la tradizione popolare identifica con il demonio, ed i delfini poi…che parte avrebbero mai potuto avere in una sua prematura dipartita? Avrebbe capito se si fosse trattato di squali, ma quei simpatici animali non sono certo soliti attaccare l’uomo. Ad ogni buon conto, pensò che era meglio evitare i viaggi per mare e limitarsi a guardarne le onde soltanto dalla riva; tanto per rinfrescarsi c’era sempre la piscina dei Riccucci, senz’altro più sicura e meno affollata di seccatori.

Presto si rese conto d’essere caduto preda d’una vera propria fobìa che gli avvelenava l’esistenza e gli impediva di condurre quella vita gaudente e spensierata, che la sua posizione economica gli aveva sempre consentito.

Dietro consiglio d’un amico decise quindi di rivolgersi ad una psicoterapeuta di cui tutti dicevano un gran bene. Ed infatti, fino dal primo incontro, gli parve d’averne tratto un significativo giovamento. Quella donna ancor giovane, dall’aspetto intrigante e così sicura di sé, pareva esser riuscita a squarciare la coltre scura ch’era calata sulla sua vita e con la sua logica razionale l’aveva finalmente convinto dell’assurdità di certe paure. Giusto quella mattina poi aveva ritirato gli esiti negativi dell’ennesima TAC che il medico gli aveva prescritto (più per rassicurarlo che per altro, ormai rassegnato com’era alla sua ipocondrìa).

E dunque, affanculo tutte le maledette megère di questo mondo; che potessero imputridire nelle loro puzzolenti roulotte. Lui si sentiva bene, come se avesse davanti almeno altri cinquant’anni di vita. Era un caldo tramonto d’inizio giugno ed il vento gli spazzolava i capelli mentre con la sua Alfa Cabrio percorreva il lungomare; aveva brindato a lungo con gli amici nel solito bar dove erano soliti ritrovarsi per l’aperitivo ed ora si sentiva rinvigorito, mentre gli ultimi raggi del sole si riflettevano sul suo viso già abbronzato. Così non si accorse della rotonda che gli veniva incontro, appena dentro il cono d’ombra e visse come in sogno la sterzata improvvisa e la macchina che non accettava più i comandi. L’ultimo sentimento non fu paura ma disappunto: no, non era giusto…non proprio allora.

Giovanni Borghi perì il 6/6/06, esattamente 6 mesi e 6 giorni dopo la predizione della zingara, in un incidente stradale davanti al civico n.6 di Via degli Oleandri, un palazzone di seconde case denominato Condominio “Le stenelle”.

Comunicazioni personali.

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Ogni giorno, dopo aver vagato tra le notizie del quotidiano, mi soffermo sulla pagina degli annunci matrimoniali. Seleziono i più interessanti e li annoto con il lapis su una rubrica.

Ce ne sono per tutti i gusti. Sessantenne benestante, casa propria…40enne, libero professionista, amante dei viaggi e appassionato d’arte…35enne ingegnere, vorrebbe realizzare il progetto più importante della sua vita…46enne commercialista, molti interessi e passioni da condividere in due… Annunci di uomini soli, alcuni di età comparabile alla mia; uomini che spesso hanno archiviato unioni sfortunate o che i primi acciacchi senili hanno convinto a svendere la propria libertà. Sono in tanti; ogni settimana ne compaiono di nuovi, e pare di vederli, affacciati con sguardo ansioso sulla pagina del giornale, in affannosa competizione per la ricerca di una compagna….

Eppure, nonostante abbia diverse trattative in corso, non sono ancora riuscito a cedergli la mia.

Politicamente corretto

 

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Hanno ridato rispettabilità ai becchini ed al loro compito ingrato, chiamandoli “operatori cimiteriali”. Hanno reso la fierezza agli spazzini, trasformandoli in “operatori ecologici”. Non hanno – ahimè – potuto rendere la vista ai ciechi, ma il loro stato è certamente meno duro da quando son diventati “non vedenti”. E che dire dei sordi, miracolosamente mutati in “audiolesi”?…(e risparmiatemi, per favore, la solita battuta sui “tirolesi”…)

Infine si sono giustamente presi cura degli handicappati, promuovendoli prima alla più dignitosa condizione di “disabili”, per poi rendere loro pari opportunità con la qualifica di “diversamente abili”.

Vedi dunque, cara Matilde, che anche per te urge la speranza di un futuro migliore: verrà presto il giorno che non ti potranno più indelicatamente definire brutta, ma sarai sempre e per tutti “diversamente gnocca”.