Ma come ha potuto?

 

 

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“Ma come? Non ha pensato alla moglie? E ai figli…quelle povere creature? Come ha potuto essere così egoista ed incosciente?”. E’ un fuoco crepitante di disapprovazione, una lapidazione verbale, una sventagliata di biasimo, che vorrebbero colpire il maramaldo fino lassù, a diecimila metri e più di quota, mentre volteggia beato e dimentico d’ogni affanno.

Solo alcuni – assai pochi, in verità – gli dimostrano sostegno : “Bene! Bravo! Così si fa. Perché si vive una volta sola.” Ma la maggioranza, solitamente così silenziosa, non perde l’occasione per eruttare commenti accidiosi, per sguinzagliare le proprie frustrazioni, per fingersi perbene nella maniera più intransigente.

Lui, da lassù, non sente né gli uni né gli altri, e seguita a librarsi disinvolto tra la bambagia delle nuvole, fortunato indagatore di un’esperienza irripetibile. Sordo al fragore di tutta quella deplorazione, non sembra darsene per inteso; né fa mostra di udire i disperati richiami che qua e là si levano dalla cerchia più ristretta degli amici e dei parenti.

E’ pur vero che, talvolta, un vuoto d’aria improvviso lo sorprende e l’avventura si trasfonde in un precipizio orrendo, lungo mille notti d’inverno, ampio mille giornate di noia e d’abitudine…. ma quando ormai sembra prossimo il fatale impatto, ecco una calda corrente ascensionale, che lo prende materna tra le braccia, lo risolleva, lo rassicura, lo coccola, lo consola. Ed il passato recente è soltanto un brutto sogno, inibito per sempre a ritornare.

 

 

Nessuno riesce a comprendere come abbia potuto giungere ad una simile pazzia. Come si faccia, così di punto in bianco, ad abbandonare la famiglia, il lavoro, gli amici, una posizione sociale più che invidiabile…

E guardatela là la moglie, con i due piccoli per mano, che pare proprio l’icona della disperazione. Lo sguardo attonito e costernato s’accompagna a quello incuriosito delle due creature, che osservano incantate il papà svolazzare come un passero sopra le loro teste, fanciullescamente incurante del pericolo di precipitar giù.

 

Datemi ascolto, brava gente. E’ perfettamente inutile gridare ed imprecare. Ancora una volta ci si deve accontentare d’osservare quello spettacolo, meraviglioso e terribile, della natura chiamato amore, senza alcuna concreta facoltà d’intervenire.

L’unica cura a noi concessa sarà di predisporre qualche opportuno ammortizzatore (una rete? un telone? una pila di materassi?) per quando la tenacia inesorabile del tempo ricondurrà quel disgraziato, baciato dalla sorte, sotto il controllo austero della gravità.

Il babbo va in pensione

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Non ne potevo veramente più…

Anni e anni trascorsi a scivolare sulla neve, dietro il culo dondolante di una renna, con la lama del vento che ti incide la faccia e le emissioni, tanto calde quanto mefitiche, degli animali…..

Averlo saputo quel giorno disgraziato che Lui mi chiamò e mi disse: “Nicolino… senti ammè: c’ho un incarico semplice semplice e di grande responsabilità. Una cosa di cui parlerà per secoli il mondo intero …”

Adesso, dopo gli ultimi disguidi nelle consegne (i soldatini a Bush e il piccolo bombarolo ad Akmadinejad), finalmente si è reso conto che è arrivato per me il momento di un meritato riposo. Ed anche le mie renne, fedeli compagne, potranno godere una giusta ricompensa, scorazzando per l’eternità nelle verdi praterie del cielo.

 

Quanto alle consegne, saranno appaltate ad una multinazionale che impiega babbi interinali ed attraversa il mondo con i suoi furgoni (essendo ormai le renne un mezzo palesemente obsoleto).

Procurate d’essere in casa la notte di Natale; ché non vi tocchi di ritrovar l’invito a ritirare un pacco, presso l’ufficio di viale Santa Claus , 96930 Rovaniemi… FINLANDIA!

Lettere dal fronte dei nostri giorni

 

 

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Cara mamma, è trascorso ormai quasi un anno da quando ho dovuto trasferirmi a lavorare in questa triste e frenetica città del nord. Il lavoro sta andando bene: sono stata promossa segretaria di redazione e il vicedirettore l’altro giorno mi ha detto che ho le capacità per diventare una giornalista affermata e una di queste sere dovremmo uscire a cena per parlarne. So che queste notizie ti faranno felice, ma non abbastanza. So che sei preoccupata di sapermi tutta sola in questa città, così grande ed estranea, e che vorresti al più presto vedermi sposata, e intenta a procurarti un gioioso seguito di nipotini. Purtroppo, però, devi sapere che gli uomini dei tuoi tempi non esistono più: uomini veri in grado di assumersi le proprie responsabilità; spalle solide come mura, dalle cui merlature poter guardare con fiducia alle avversità della vita.

Oggi, a quarant’anni, è già molto se non vivono ancora con i genitori; rifuggono terrorizzati da qualsiasi impegno che possa minimamente condizionare la loro vita di eterni ragazzi e non provano vergogna a dirti : “Non mi sento ancora pronto per avere un figlio”. Ad uno di questi, l’altro giorno, ho risposto : “A questo punto conviene che fai congelare il tuo seme e quando ti senti finalmente pronto, ci mandi un sms dall’aldilà…”

 

 

 

 

Cara mamma, sono trascorsi ormai diciotto mesi da quando le mie ambizioni mi hanno condotto in questa grigia e uggiosa città del nord. Il lavoro sta procedendo bene; sono entrato a far parte dell’ufficio progettazione dell’azienda ed oggi la dottoressa che lo dirige mi ha detto che ho i numeri per una rapida e brillante carriera. Lo so che tu vorresti vedermi sistemato e che sarebbe giunto il momento che mi formassi una famiglia. Ma purtroppo le donne dei tuoi tempi non esistono più. Le ragazze di oggi ti guardano dritto negli occhi, sono ricoperte di tatuaggi come lottatori di wrestling e, alla prima discussione, ti seppelliscono sotto una valanga di colorite contumelie. Difficile immaginare simili virago come affettuose compagne di vita, attente alle mie esigenze e dedite alla cura amorosa dei figli.

Sembra che oggi sia in atto un’assurda guerra dei sessi in cui ciascuno è incerto del proprio ruolo e delle proprie competenze e, nel contempo, nutre il timore di rilasciare eccessive concessioni a chi potrebbe invece diventare il riferimento di una vita.

Forse è per questo che siamo tutti più infelici; o forse – chissà? – lo eravate anche voi ma non lo confessavate e, in nome della morale e del senso comune che governavano il vostro tempo, ciascuno si macerava nel rassegnato silenzio del proprio scontento…