Perchè non volli esser poeta.

1fdb96a814a80ee4fc0644e887918f69.jpg

 

Purtroppo nella nostra società lo scriver versi viene presa come una faccenda molto seria. E ciò vuol dire che non si può essere poeti dilettanti, come si può invece praticare per passione qualche sport, tipo il calcio od il ciclismo, senza dovervi necessariamente eccellere, magari abbastanza da ricavarne un sostentamento.

Per l’opinione comune della gente o si è poeti o non lo si è; non esistono mezze misure. E siccome i poeti veri sono veramente pochi, se qualcuno ha la malaugurata idea di confessarsi verseggiatore per diletto, per ben che vada ne ricava sguardi di diffidenza o malcelato compatimento.

Forse a corroborare questa convinzione ha fortemente contribuito l’affermazione dell’eminente storico e filosofo Benedetto Croce, il quale diceva che fino a diciotto anni tutti scrivono poesie; dopo, rimangono solo due categorie di persone ad impegnarsi in questa attività: i poeti ed i cretini. Per cui il grande Faber (De Andrè), vero ed autentico poeta, era solito affermare che preferiva, per prudenza, definirsi “cantautore”.

Ad ogni buon conto, giunto sul finire della prima giovinezza, dopo aver riempito, come molti a quell’età, un quadernetto di poesie, e a prescindere dal rischio d’apparir cretino, mi rifiutai comunque d’esser poeta; quand’anche fosse stato dimostrato che potessi averne le capacità. Perché un poeta felice a dire il vero non l’ho mai visto; ed anche senza scomodare il povero Leopardi o altri illustri esempi, sembra ormai accertato che la sublime poesia tragga la sua più feconda ispirazione dall’umana sofferenza ed infelicità. Sicché appuntai sull’ultima pagina del quadernetto quella che ritenevo essere la vera natura della mia poesia:

PRESUNZIONE

ORGOGLIO

EGOISMO

SOLITUDINE

IMPOTENZA

ALIENAZIONE

Poi chiusi per sempre quel quaderno e andai incontro al mondo della prosa quotidiana…