Diciannove milioni di libri.

 

 

 

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Probabilmente molti si chiederanno per quale motivo io abbia rinunciato alla mia invidiabile posizione di funzionario d’alto livello di un ente pubblico, per diventare uno dei molti oscuri bibliotecari, qui alla Grande Biblioteca Nazionale, in mezzo ad oltre diciannove milioni di volumi.

In effetti non mi mancava nulla ed i lauti riconoscimenti economici di cui godevo mi permettevano la soddisfazione d’ogni capriccio. Ma proprio per questo forse, dopo qualche tempo, un tarlo insaziabile prese a tormentarmi.

Gli agi e il lusso, i piaceri e gli affetti. la buona salute e la mia stessa vita: tutte cose a cui avrei dovuto presto o tardi rinunciare. E questo pensiero, come una nuvola scura adombrava le mie giornate e mi impediva di godere appieno di quella che fino ad allora era stata un’esistenza felice.

Così venni a sapere, da un manoscritto del ‘700, di un alchimista, noto per la sua scoperta con il nome di Atanasio, che era riuscito a conseguire uno degli scopi principali della sua dottrina: la scoperta della panacea universale, un rimedio in grado, non solo di curare tutte le malattie, ma di arrestare anche il progressivo decadimento fisico, prolungando la vita indefinitamente. Purtroppo quel geniale scopritore troppo tardi aveva raggiunto la sua meta. Ed aveva ritenuto non valesse la pena di conseguire l’immortalità dentro un corpo irrimediabilmente deteriorato. Ma i segreti della sua scoperta quelli li aveva conservati, scrivendoli, come note a margine, tra le pagine di un libro che notizie certe danno ora su qualche scaffale di questa immensa biblioteca.

E sono dunque oramai cinque anni che ogni giorno timbro il mio cartellino di buon’ora ed appena gli altri impegni me lo consentono, con la scusa di pulire, riordinare e catalogare, percorro le grandi sale e prendo a sfogliare febbrilmente volumi su volumi, alla ricerca di quelle poche magiche righe vergate a penna. Non sono l’unico in questa investigazione: altri impiegati, che ho saputo provenire anch’essi da importanti posizioni (ex liberi professionisti: medici, notai, ingegneri ed avvocati) frugano per ogni dove sugli scaffali, senza parere. Ciascuno ha una sua tecnica ed un suo metodo: chi esegue una ricerca ordinata e sistematica, e chi invece punta a caso, controllando a campione solo alcuni volumi per ogni scaffale; qualcuno addirittura si affida ad esoteriche sensazioni o alle frequenti visioni di cui l’affannosa ricerca popola i suoi sogni notturni. Tutti perseguiamo lo stesso scopo, ma nessuno di noi, neppure sotto la più crudele delle torture, sarebbe mai disposto a dichiararlo.

I più anziani, ormai provati da anni di inutili tentativi, osservano il nostro fresco furore con sguardi di benevolo compatimento; eppure neanche loro hanno il coraggio di abbandonare una ricerca ch’è diventata ormai lo scopo principale (se non l’unico) della loro vita.

Sappiamo tutti bene che, data l’immensa mole di volumi da controllare, neppure un centinaio di vite ci sarebbero sufficienti; per cui soltanto l’imprevedibile benevolenza della sorte ci può far sperare. Ed il nostro irriducibile zelo può solo infinitesimamente contribuire alla vittoria, accrescendone lievemente la probabilità.

A volte poi, soprattutto la sera, giunto al termine di una giornata quasi interamente spesa in vane ricerche, mi assalgono i dubbi ed un forte scoramento. E se il prezioso volume fosse andato distrutto? Oppure si trovasse in qualche altro posto, sepolto tra le macerie di qualche antica dimora o nella bottega polverosa di qualche ignaro rigattiere? E se invece nel corso degli anni qualcuno degli impiegati l’avesse ritrovato, sottraendolo allo scopo di conservare solo per sé l’inestimabile segreto?

O ancora – più semplicemente – se quella scoperta meravigliosa fosse soltanto una leggenda e quelle uniche preziose note non fossero mai esistite ed io stessi così, stupidamente, consumando quello che resta della mia breve vita?