Lettera al segretario del partito

 

 

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Carissimo Pierfranco, ti scrivo queste poche righe per ringraziarti dell’affetto e della solidarietà che hai saputo dimostrarmi, in occasione dell’immane tragedia che ha colpito la mia famiglia e, al tempo stesso, per pregarti di voler accettare fin d’ora le mie sofferte ma irrevocabili dimissioni dal partito; così come successivamente, nelle sedi opportune, abbandonerò tutti gli incarichi istituzionali che, in virtù della mia appartenenza ad esso, attualmente detengo.

Giudico infatti le convinzioni, che negli ultimi tempi sono andato maturando, non più compatibili con gli ideali e i fondamenti ispiratori della formazione politica che, con saggezza e perizia unanimemente riconosciute, da diversi anni hai l’onore ed il merito di dirigere.

 

Fino a poco più di un mese fa ritenevo che si potesse tenere il nostro mondo separato da quello di coloro a cui ho sempre predicato la pratica di nobili intendimenti, quali il garantismo e la tolleranza.

La terribile tragedia che mi ha colpito mi ha reso consapevole che la distaccata superficialità con cui classificavo certi orrendi accadimenti come eventi spiacevoli, ma isolati e fuori dell’ordinario, era alimentata dall’intima convinzione che mai e poi mai simili fatti avrebbero potuto prevedere un mio diretto coinvolgimento; che in nessun caso quell’orrore quotidiano, divenuto oggi quasi banale, avrebbe potuto valicare la cinta sicura delle nostre ville, l’attenta sorveglianza dei body-gard e delle forze dell’ordine e l’estrema soggezione che incute il nostro privilegio.

Ma non avevo fatto i conti con quest’onda irrefrenabile di follìa distruttiva ed autodistruttiva (causa o effetto – chissà? – del crescente abuso di alcool e droghe, o del disumano deserto di affetti, che costituisce l’habitat naturale di molti individui) che sembra aver permeato ogni recondito meandro della nostra società; un orrido magma nero, ribollente sotto i nostri piedi, pronto ad esplodere con violenza devastante e senza il minimo preavviso.

Io tuonavo sulle piazze contro gli egoismi e i pregiudizi dei razzisti e dei forcaioli, ed intorno a me vegliavano uomini dalle spalle larghe, con gli auricolari e gli occhiali scuri. Ma non c’erano guardie del corpo quel giorno, in quell’aula universitaria, a proteggere il mio angelo biondo… E chi avrebbe mai potuto pensare di far del male, in pieno giorno, davanti a decine e decine di persone, ad un’esile ragazza indifesa, la cui spensierata giovinezza sembrava incarnare la più autentica essenza della vita? Un mostro, un pazzo per l’appunto, uno che nutre un odio incontenibile per sé, per gli altri e per la vita stessa.

Le quaranta coltellate che quel folle ha inferto nelle carni della mia bambina, nei giorni successivi, hanno trapassato cento e cento volte quel grumo sanguinante ch’è diventato il mio cuore; sono penetrate a fondo nella mia mente, nelle regioni più oscure ed inconsce dell’anima; e hanno travolto inesorabilmente quelle che credevo essere le mie solide convinzioni, politiche e religiose.

 

Ora tu penserai che sono giustamente sconvolto dai recenti avvenimenti e che, quando quel grande sciamano ch’è il tempo avrà provveduto pian piano a cospargere d’unguenti le mie ferite, riuscirò, seppure a fatica, a ritrovare i sentieri della ragionevolezza, e dimenticherò in breve tempo questo sfogo. Ma – credimi – so per certo di non essere mai stato tanto ragionevole e saldo nelle mie convinzioni come in questo momento; così come so, invece, di aver mentito quando, per pura convenienza politica, predicavo un buonismo incondizionato e la certezza di recuperare, con un impegno collettivo, anche i criminali più efferati.

Perché converrai con me che nella nostra società è in atto un climax di gratuita violenza e di sadica crudeltà, il cui unico assurdo scopo parrebbe quello di aggiungere sempre nuovo sgomento, in chi già crede di avere assistito ad ogni possibile esasperazione dell’umana malvagità. Tanto che, per gli autori di simili gesti, si fatica a concepire l’attuazione di una pena adeguata, giacché neanche la morte sembrerebbe abbastanza.

E invece neppure più la detenzione a vita esiste, di fatto, nel nostro paese e chi ne invoca a gran voce l’abolizione mente, con la coscienza di mentire, e cavalca una finta battaglia, per ricavarne consensi elettorali; tra permessi premio, indulti e sconti di pena, è certo che nessuno, nemmeno l’autore della strage più efferata, trascorrerà mai in carcere la rimanente parte della sua esistenza.

Ora, se il mio cane, per ironia della sorte, venisse abbandonato e ritrovato a circolar per strada, finirebbe sicuramente dentro le gabbie di un canile; e questo senza essersi macchiato di colpa alcuna. Se poi, per disgrazia, dovesse uccidere o ferire gravemente un essere umano, quand’anche fosse stato da questi aggredito o maltrattato, quasi certamente rischierebbe d’essere abbattuto. Ed il mio cane – te lo assicuro – è capace di sentimenti assai più nobili del più innocente di quegli assassini, che pure si muovono, spavaldi e indisturbati, per il nostro paese, e guardano con ghigno soddisfatto a tutte le remore e i cavilli, da cui è impastoiata l’umana giustizia.

Eppure questa società, che nutre verso i cani tanto timore, pare non senta il bisogno di difendersi da quelle belve spietate, che invece impiegano la loro intelligenza per fare deliberato scempio dei propri simili; e quand’anche abbiano già dato ampie dimostrazioni della loro pericolosità sociale, sono comunque lasciati liberi di muoversi come meglio gli aggrada, perché un qualche giudice, non si sa bene sulla base di quali competenze psicologiche, ha ritenuto che “non sussiste il pericolo di reiterazione del reato”.

 

Stante questa situazione, l’unica determinazione che mi sento in grado di adottare, al fine di attribuire ancora un senso ed una qualche utilità alla mia insignificante esistenza, è quella di impegnarmi fino all’ultimo respiro, nel tentativo di restituire un minimo di giustizia e sicurezza a questo tormentato Paese.

Mi batterò , da questo momento in poi, con ogni mia risorsa morale e materiale, perché l’occhio miope della politica trasferisca finalmente la sua attenzione dai diritti di Caino a quelli di Abele; perché le persone più deboli e indifese – gli anziani, le donne, i bambini – possano frequentare serenamente le strade, anche delle grandi città, senza correre il rischio d’essere aggredite, stuprate, macellate come vittime sacrificali; perché le persone che denunciano gravi problemi mentali, o non sono in grado di contenere i propri impulsi, vengano costantemente seguite in apposite strutture e non abbandonate a sé stesse e alla disperata ed impotente solitudine delle loro famiglie; perché le belve feroci, che scorrazzano liberamente per il nostro paese e considerano i pacifici e onesti cittadini come grasse prede da scannare, vengano definitivamente rinchiuse e messe in condizione di non nuocere.

Perché una società può ritenersi veramente civile, solo nella misura in cui dimostra di sapersi difendere, da coloro che ne minacciano seriamente le basi per una pacifica e serena convivenza tra gli individui.

 

Certo della tua benevola comprensione, nella speranza che questa mia decisione non abbia a determinare il pur minimo cambiamento nel rapporto di sincera amicizia che ci lega da sempre, ti invio affettuosa testimonianza della mia profonda stima.