Negli occhi di una zingara

ca7e72a55d78cafa264120e60d4c5321.jpg

Tutti quanti conoscevano la sua totale mancanza di superstizione. E sapevano che non poteva soffrire le stupide fole con cui sedicenti maghi e cartomanti farciscono la testa dei poveri creduloni, con l’unico risultato di separarli pacificamente dai loro quattrini.

Eppure quella volta in compagnia, per non voler sembrare asociale, decise di prenderlo come un gioco e si assoggettò di buon grado a porgere la mano ad una zingara incartapecorita. Sorrideva beffardo mentre la vecchia scrutava le linee del suo palmo; e non smise nemmeno quando costei, con fare grave iniziò a proferire fosche profezìe di morte imminente, addirittura entro l’anno, e tutti intorno tacevano impressionati.

“Guardati dal numero del diavolo, guardati dai delfini…” – disse la vecchia e lui, irritato più dal fatto che si stava guastando l’allegria della serata che dall’infausta predizione, le allungò venti euro e le ingiunse di sparire.

Eppure, per quanto si rifiutasse di ammetterlo perfino con sé stesso, quell’insolito evento gli aveva lasciato un’inquietudine strana che, anziché scemare, andò vieppiù crescendo nei giorni che seguirono. L’ansia si aggravò quando un’amica della compagnia, cui la zingara aveva predetto il felice compimento della ricerca di lavoro, ebbe la lieta notizia che aveva vinto il concorso per un impiego in Comune. Era sicuramente una coincidenza – si disse – con tutte le baggianate che raccontano queste ciarlatane è quasi inevitabile che qualcuna si debba avverare. Eppure quelle parole continuavano a rimbalzargli nella mente.

Sebbene avesse raggiunto i cinquant’anni in ottima salute, non poteva fare a meno di pensare ai molti amici e conoscenti, anche più giovani di lui, che qualche male improvviso aveva strappato via. Ed il suo corpo tutto d’un tratto sembrava confermare quei timori mandandogli piccoli segnali di malesseri che mai aveva provato prima. Quei dolori al fegato, che si acutizzavano quando assumeva quella certa posizione; quelle fitte pulsanti nella zona occipitale, simili a scariche elettriche; quel neo sulla schiena che sembrava ingrandirsi e mutare di colore; e soprattutto quell’astenìa che spesso lo opprimeva fin dal mattino, figurandogli anche il minimo impegno della giornata come un’altissima cima da scalare.

E poi c’erano quegli ridicoli riferimenti. Il triplo sei, che la tradizione popolare identifica con il demonio, ed i delfini poi…che parte avrebbero mai potuto avere in una sua prematura dipartita? Avrebbe capito se si fosse trattato di squali, ma quei simpatici animali non sono certo soliti attaccare l’uomo. Ad ogni buon conto, pensò che era meglio evitare i viaggi per mare e limitarsi a guardarne le onde soltanto dalla riva; tanto per rinfrescarsi c’era sempre la piscina dei Riccucci, senz’altro più sicura e meno affollata di seccatori.

Presto si rese conto d’essere caduto preda d’una vera propria fobìa che gli avvelenava l’esistenza e gli impediva di condurre quella vita gaudente e spensierata, che la sua posizione economica gli aveva sempre consentito.

Dietro consiglio d’un amico decise quindi di rivolgersi ad una psicoterapeuta di cui tutti dicevano un gran bene. Ed infatti, fino dal primo incontro, gli parve d’averne tratto un significativo giovamento. Quella donna ancor giovane, dall’aspetto intrigante e così sicura di sé, pareva esser riuscita a squarciare la coltre scura ch’era calata sulla sua vita e con la sua logica razionale l’aveva finalmente convinto dell’assurdità di certe paure. Giusto quella mattina poi aveva ritirato gli esiti negativi dell’ennesima TAC che il medico gli aveva prescritto (più per rassicurarlo che per altro, ormai rassegnato com’era alla sua ipocondrìa).

E dunque, affanculo tutte le maledette megère di questo mondo; che potessero imputridire nelle loro puzzolenti roulotte. Lui si sentiva bene, come se avesse davanti almeno altri cinquant’anni di vita. Era un caldo tramonto d’inizio giugno ed il vento gli spazzolava i capelli mentre con la sua Alfa Cabrio percorreva il lungomare; aveva brindato a lungo con gli amici nel solito bar dove erano soliti ritrovarsi per l’aperitivo ed ora si sentiva rinvigorito, mentre gli ultimi raggi del sole si riflettevano sul suo viso già abbronzato. Così non si accorse della rotonda che gli veniva incontro, appena dentro il cono d’ombra e visse come in sogno la sterzata improvvisa e la macchina che non accettava più i comandi. L’ultimo sentimento non fu paura ma disappunto: no, non era giusto…non proprio allora.

Giovanni Borghi perì il 6/6/06, esattamente 6 mesi e 6 giorni dopo la predizione della zingara, in un incidente stradale davanti al civico n.6 di Via degli Oleandri, un palazzone di seconde case denominato Condominio “Le stenelle”.

Negli occhi di una zingaraultima modifica: 2007-07-19T01:05:00+02:00da wildhope
Reposta per primo quest’articolo

10 pensieri su “Negli occhi di una zingara

  1. insomma non si può sfuggire al nostro destino… la cosa mi preocuppa visto che tanti anni fa una zingara predisse la mia data di morte, esattamente fra un anno… e vabbè… speriamo bene… (Grazie per essere passato e per il messaggio di auguri che mi hai lasciato, mi ha fatto davvero piacere, ora va un pochino meglio… ) un abbraccio Sabi

  2. Porca l’oca! L’altro giorno, durante una delle mie fughe da Villa Arzilla, ho inciampato in una zingara, che tutta incazzata mi ha augurato un accidenti alla dentiera…non è che me l’hai mandata tu? E tutto per 10 miseri cuscinetti algasiv…credevo che i miei baci valessero molto di più:-))). Bel racconto, ma già uno con un nome così… Giovanni Borghi, un nome un destino:-) Bacio, che sto cuscinetto algasiv è una vera bomba, peccato sia l’ultimo :-)))

  3. ***************************************************************
    Accidenti, alla sfortuna nera….
    Io ho due splendide gatte nere, (si sa mai che siano mezze streghe)
    Un abbraccio forte

    (¯`v´¯)
    `•.¸.•´
    ¸.•´¸.•´¨) ¸.•*¨)
    (¸.•´ (¸.•´ .•´¸¸.•´¯`•->…ღLidiaღ

Lascia un commento